Chiesa Matrice
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5,0 van 5 bollen21 beoordelingen
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Zamorsky
Minsk, Wit-Rusland1.096 bijdragen
4,0 van 5 bollen
jun. 2023 • Alleen
Каменная церковь Рождества пресвятой Богородицы в маленьком городке Маруджио. Сведения о времени постройки смутные, даже на табличке возле здания непонятно описано. Судя по всему, строительство начато ок.1500 г., и после землетрясения 1743 пришлось основательно перестраивать.
Так или иначе, храм большой и очень хорошо сохранился. Внутри скромный, снаружи брутальный. Для маленького городка отличная церковь, тем более не единственная.
Geschreven op 18 juni 2023
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Giuseppe Tattooland
Maruggio, Italië47 bijdragen
5,0 van 5 bollen
aug. 2019 • Stellen
Incantevole, mi ci sono sposato, ogni volta che la visito è sempre un'emozione unica.
Curatissima. Molto antica, con le sue magnifiche volte a stella. Da visitare assolutamente.
Geschreven op 6 augustus 2019
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Viktor V
Wenen, Oostenrijk86 bijdragen
5,0 van 5 bollen
jul. 2019 • Gezinnen
Wenn man diese Kirche betritt atmet man die Tausend Jahre der Geschichte in der sie bereits steht. Malteser scheinen die Besitzer und Erhalter zu sein. Wirklich ein wunderbarer Ort um kurz zu verweilen.
Geschreven op 31 juli 2019
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@pugliarecensioniesuggerimenti
Bari, Italië2.326 bijdragen
5,0 van 5 bollen
jul. 2019 • Alleen
Ci passavo spesso per una gomma Hai avuto modo di recensire questo splendido complesso. Maruggio forse il più bel paese di Taranto e questa chiesa è la dimostrazione
Geschreven op 30 juli 2019
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Antonio F T
Whitestone, NY180 bijdragen
5,0 van 5 bollen
jun. 2018
visited this quiet town and passed this amazing church filled with history a joy and a must if you are in the area
Geschreven op 5 december 2018
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mo_ma
Italië7.724 bijdragen
5,0 van 5 bollen
aug. 2018 • Stellen
Una vera perla, nel centro di questo grazioso Paese. Risale all'inzio del XII secolo, e sistemata dopo il terremoto del 1743. Semplice e bellissima.
Geschreven op 18 augustus 2018
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gdma83
Putignano, Italië1.417 bijdragen
5,0 van 5 bollen
aug. 2017 • Gezinnen
Questa meravigliosa chiesa ha la caratteristica di essere davvero molto spartana. Non è stuccata e i mattoni sono a vista, non ha elementi decorativi e non presenta dipinti. Resta tuttavia maestosa, ed è bella proprio perchè estremamante semplice e spoglia. Costruita (la versione attuale) nella metà del '600 è stata poi in parte rimaneggiata nei secoli fino ad oggi. Noi l'abbiamo visitata di sera, in occasione di una festa del paese di Maruggio. Abbiamo notato le insegne dei cavalieri di Malta, e informandoci abbiamo saputo che inizialmente il feudo apparteneva ai cavalieri Templari, per poi passare ai cavalieri di Malta dopo che i templari furono sciolti e scomunicati. Ecco perchè le insegne, anche all'interno della chiesa.
Geschreven op 23 augustus 2017
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Mario L
134 bijdragen
5,0 van 5 bollen
aug. 2016 • Stellen
La chiesa di Tutti i Santi, che attualmente occupa il lato ovest di Piazza IV Novembre, fu edificata, nella sua attuale dizione, a seguito del crollo verificatosi il 31 gennaio 1649, tra il 1650 ed il 1660, su progetto dell'architetto mesagnese Francesco Capodieci, con integrazioni del frate Francesco da Copertino e del chierico leccese Antonio Leccisi.
Secondo lo storico Cataldo Antonio Mannarino, la precedente chiesa intitolata ai tre santi Eleuterio vescovo, Anthia e Corebo sarebbe stata eretta lì dove era la cappella bizantina di San Nicola Vetere. In seguito ridefinita e dedicata a Tutti i Santi, avrebbe subito un nuovo intervento nel 1580 con la proposizione dell'ingresso rivolto a levante.
Soggetta nel tempo a varie modifiche, l’attuale costruzione fu progettata nel 1650 dal sacerdote mesagnese Francesco Capodieci, dal frate Francesco da Copertino e dal chierico mesagnese Antonio Leugio. E’ una chiesa a croce latina, ad unica navata. Il prospetto è composto da tre ordini architettonici, sormontati da un timpano, che ne fanno una chiesa davvero maestosa.
Il primo ordine è costituito da sei pilastri di ordine ionico, nei cui interspazi vi sono quattro nicchie con quattro apostoli. Il cinquecentesco portale maggiore è sostenuto da quattro colonnette doriche, con capitello corinzio, che nella parte bassa sono intagliate da motivi vegetali ed antropomorfi. E’ sormontato dalle statue di S. Oronzo (erroneamente indicato nell’architrave come S. Eleuterio) e di Anthia e Corebo, secondo la tradizione (errata) martirizzati a Mesagne. Il portale fu recuperato e inserito nella facciata seicentesca.
Il secondo ordine è di tipo corinzio e tra le sei lesène, che continuano quelle del primo ordine, vi sono altri quattro apostoli.
Il terzo ordine è di tipo composito e contiene le statue di altri quattro apostoli. Al centro vi è un bassorilievo rappresentante la Madonna del Carmine.
Nel timpano vi è lo stemma di Mesagne in bassorilievo; sopra il timpano vi sono quattro angeli che facevano ala alla statua del Cristo, andata distrutta da un fulmine sul finire dell’Ottocento.
La chiesa è stata costruita sulla cappella bizantina di S. Nicola Vetere, nel periodo della seconda colonizzazione (X sec.) e si tramanda che fosse stata dedicata, in quel periodo, ai tre Santi: Eleuterio, Anthia e Corebo. Poi, attorno al 1450 (come afferma lo storico C.A. Mannarino) fu ristrutturata e dedicata a “Tutti i Santi”. Intorno al 1580 fu nuovamente ristrutturata, a spese dell’Università (la città), per impulso del vescovo mesagnese Lucantonio Resta. In quell’occasione fu probabilmente riorientata ad est, mentre prima l’ingresso era ad ovest, dalla parte del Castello.
Il 31 gennaio 1649 la chiesa crollò e fu poi ricostruita tra il 1650 e il 1660. Nel 1766, quando il tetto fu trasformato a volta, alla facciata seicentesca fu evitato lo smantellamento dall’arch. G. Palmieri di Monopoli.
Collocata entro le dieci nicchie aperte sui tre ordini della facciata e con S. Pietro e S. Paolo posti sui terminali delle paraste angolari, la serie di dodici statue raffiguranti gli Apostoli rivela modelli corrispondenti ad un’unica logica compositiva, pur differenziati nei tratti fisiognomici e negli attributi di riferimento. Quasi tutti i soggetti sono resi facilmente individuabili dagli eloquenti attributi che li accompagnano; restano insolute le identificazioni delle tre statue mancanti degli attributi iconografici. E’ da supporre che le raffigurazioni dei dodici apostoli, che probabilmente alludono alla dedicazione della chiesa d’Ognissanti, furono realizzate nella cerchia dei ‘mastri’ salentini operanti nella fabbrica della collegiata a partire dagli anni Cinquanta del Seicento che i referti documentali indicano in Salvatore Miccoli, Gianmaria Biasi e Domenico Capozza.
Il complesso architettonico è costituito da Chiesa, cripta, sagrestie, sala del Capitolo, giardino, atrio del campanile, campanile e ufficio parrocchiale. Nonostante diverse trasformazioni, l’attuale assetto è quello consolidatosi tra il ‘600 e il ‘700. La pianta è a croce latina, con bracci laterali molto corti rispetto alla navata centrale; l’altare maggiore divide il coro e il presbiterio, raggiungibili con due scalinate dal transetto. Sono alti otto gradini rispetto alla navata a causa della cripta sottostante, cui si accede scendendo da una scala centrale. Volte di varie forme coprono transetto e navata e una cupola ellissoidale è sita all’incrocio dei bracci. Lungo le pareti della navata si aprono cinque cappelle, due cappelloni sono nel transetto. Il fonte battesimale del XVIII secolo è racchiuso nella cappella più grande, sita all’ingresso.
La sagrestia è accanto al presbiterio; da questa si accede ad una sala ad ovest, nella quale si riuniva il Capitolo dei sacerdoti. Il giardino, acquistato dal Capitolo nel 1624, si affaccia sulla splendida piazza Orsini del Balzo.
Posto in alto rispetto al piano dell’aula centrale, l’altare in marmi policromi attira subito l’attenzione di chi entra in Chiesa, lasciando intuire la maestosità della stessa. Fu la nobildonna Caterina Martucci a commissionare a Giuseppe Cino, scultore leccese, la realizzazione del seicentesco altare maggiore in “pietra e messo in oro”, mentre risalgono al 1770 le sculture poste proprio ai lati dello stesso altare raffiguranti Angeli reggifiaccola eseguite dallo scultore Pagano, in marmo bianco venato.
La cripta è un ambiente seminterrato coperto da volte sorrette dai muri perimetrali e dalle colonne centrali con fusto a quattro lobi; all’interno si conserva la statua della Madonna con Bambino realizzata da un ignoto scalpellino.
Dai documenti risalenti alla seconda metà del 500, si ricava che Luca Antonio Resta, all’epoca arciprete della collegiata mesagnese e in seguito vescovo ad Andria, tra il 1576 e il 1578 fece realizzare la cripta, incorporando le vecchie colonne della chiesa di San Nicola Vetere. Originariamente, scendendo due scale di pietra dalla navata si raggiungeva la cripta, chiamata anche “succorpo” (da sub corpo poiché era collocata sotto il corpo principale della chiesa). La cripta voluta dall’arcivescovo Resta, sorta con funzione di oratorio, fu chiusa e destinata ad essere sepoltura del clero dal progetto di ricostruzione in seguito al crollo avvenuto nel 1649. Durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio, in seguito ai danni provocati dal terremoto del 1743, l’architetto Palmieri la restituì al culto. Il suo progetto rimosse l’unica scalinata che conduceva al presbiterio e all’altare maggiore e rese possibile accedere alla cripta attraverso una gradinata centrale in discesa dalla navata.
La fonte battesimale, il cui disegno è dell'architetto napoletano Nicola Carletti e la fattura di Pasquale e Pietro Sebastiani, fu realizzato in marmo scolpito (conca e Spirito Santo), ed in legno intagliato ed ingessato il coperchio. Più specificatamente si presenta con una vasca in forma ovale sostenuta da un piede di eguale foggia, sul cui bordo poggia il coperchio di legno. All'apice di esso una nuvoletta, sulla quale vi è la colomba dello Spirito Santo scolpita in marmo bianco. Quest'ultima opera è, presumibilmente, dello stesso autore degli angeli reggifiaccola posti sull'estremo lato destro e sinistro dell'altare maggiore. Sembra tuttavia che, rispetto ai canoni suggeriti dal Carletti, il lavoro non vi rispendesse
appieno: l'ingegnere Magliani, infatti, volle ridimensionare l'"apporto decorativo", alleggerendo di molto l'idea originaria.
La torre campanaria è, per la storia della città di Mesagne, più di una struttura architettonica: era il luogo in cui, grazie ad un vano al piano rialzato, si custodivano le carte di archivio dell’Università.
Adesso, ovviamente, è importante per le sue campane.
Gli interni dell'insigne monumento furono realizzati nel periodo compreso tra il 1766 ed il 1770. Fu l'ingegnere Giuseppe Palmieri, originario di Monopoli, a progettarne l'attuale volta in pietra ed il maestoso colonnato posto a sostegno della massiccia copertura. Gli ornati e le rifiniture si devono all'ingegnere napoletano Nicola Carletti che disegnò gli stucchi eseguiti, poi, dai mastri Pasquale Faiella, Michele Garofano e Saverio Mazzarella, tutti napoletani. Il superbo altare maggiore, tutto in marmo, tra i più elaborati esistenti nell'intero Salento, e la balaustra, sono opere di Pasquale e Pietro Antonio Sebastiani, mastri marmorari napoletani. Altri artisti provenienti dalla capitale furono chiamati a vario titolo a rendere fastosi gli interni del maggior tempio religioso di Mesagne. I dipinti collocati sugli altari laterali sono per la maggior parte opere del pittore mesagnese Domenico Pinca. Di particolare rilievo risulta la pala della Madonna del Carmine, opera del pittore napoletano Bonito, collocata, a destra, nel transetto, la navata trasversale che costituisce il braccio più corto della chiesa
La Chiesa matrice è un autentico scrigno di arte pittorica. Basta entrare nell’ampia navata centrale, proseguire nel transetto, la navata trasversale che costituisce il braccio più corto della chiesa, e soffermarsi un attimo nei locali della sacrestia e dell’aula capitolare per rendersene conto. Ci sono testimonianze di maestri autentici dell’arte barocca e, più in generale dell’età moderna; ci sono espressioni di arte strettamente locale, influenzata dalle correnti pittoriche dell’Italia meridionale, che accanto a poche, ma preziose sculture, descrivono uno scenario davvero unico.
A pochi passi dalla porta d’ingresso, sollevando gli occhi sulla bussola maggiore, ossia sul vano creato schermando con battenti interni la porta d’ingresso, il visitatore s’imbatte nella prima opera pittorica. Anche l’occhio meno esperto coglie la bellezza della tela mistilinea, alta circa due metri e lunga ben quattro, risalente all’anno 1770.
Si tratta della tela che ritrae Cristo nell’atto di scacciare i mercanti dal tempio. L’artista, il mesagnese Domenico Pinca, vissuto tra il 1746 ed il 1813, ha fermato sulla superficie pittorica un versetto del vangelo di Giovanni ed il quadro – restaurato di recente – risulta essere stato sempre conservato in questo luogo sacro, se è vero che i documenti parlano di un dipinto “continente l’espulsione dei venditori dal tempio fatto da Domenico Pinca”.
Figura centrale, per accuratezza nella linea pittorica, per scelta cromatica e per la collocazione all’interno della composizione, è proprio la figura del Cristo. Pinca si sarebbe riferito ai modelli stilistici del pittore napoletano Luca Giordano, peraltro usuali nella botteghe meridionali dell’epoca e sembra che il quadro abbia incontrato il favore dei fedeli. Qui come altrove, il pittore mesagnese, molto prolifico soprattutto nella realizzazione di soggetti sacri, ha apposto la sua sigla: una D ed una P puntate.
Ancora nel segno di Domenico Pinca, ecco sul primo altare a sinistra di chi entra, un quadro di chiara committenza interessata da soli intenti devozionali. Il dipinto ritrae la Vergine col bambino e, man mano che si scende dall’alto della composizione verso il basso, si notano San Lorenzo martire e Santa Lucia; quindi alla base, da sinistra a destra, Sant’Antonio abate, Sant’Agostino e San Rocco. Il quadro potrebbe essere quello che nei documenti risulta commissionato al Pinca, per 30 ducati, dalla famiglia Lucci, che vantava uno jus patronatus su un altare.
Pur considerata di origine devozionale, la tela presenta importanti elementi figurativi. L’artista è riuscito a rendere immediatamente identificabili i santi raffigurati, grazie all’appropriato uso degli attributi iconografici accostati a ogni singolo santo, evidenziando di volta in volta il martire, l’eremita o il dottore della chiesa, tutti accomunati dall’indicare la Vergine, posta al centro, come fonte di salvezza. Inoltre, il Pinca è riuscito a legare insieme le diverse storie dei santi, con nuvole, aloni ed angeli che hanno consentito di realizzare una composizione improntata ad una forte unitarietà..
Notevole risulta la soluzione iconografica che l’autore ha trovato nel raffigurare San Rocco: l’artista ha creato quasi un ideale piedistallo attorno al quale ruota l’angelo, che gli pone accanto il bastone del pellegrino, ed il cane che gli porge il pane. La composizione ricorda una pagina significativa della storia terrena del santo di Montpellier.
Sul secondo altare del lato di sinistra, c’è un altro quadro a soggetto spiccatamente mariano. E’ l’olio su tela raffigurante l’Assunzione della Beata Vergine, che la devozione a Mesagne porta a venerare il giorno 15 Luglio con processioni e preghiere particolari. La narrazione si svolge su due piani, quello terreno e quello celeste. Nella parte inferiore della composizione, alcuni apostoli cercano attoniti nel sepolcro, mentre altri guardano verso il cielo. La parte superiore, invece, è incentrata sulla Madonna festante, attorniata da numerosi angeli, alcuni dei quali raccordano i due piani.
Il quadro, alto oltre due metri e mezzo e largo un metro e 70 centimetri, è opera di Saverio Lillo da Ruffano, come bene può leggersi dall’ampio autografo lasciato dall’artista in basso a destra sulla tela.
Sul terzo altare del lato sinistro è collocata un’altra tela del mesagnese Domenico Pinca. Il dipinto raffigura la discesa dello Spirito Santo sulla Vergine e sugli apostoli nel giorno di pentecoste. L’artista ha dato vigore alla scena insistendo sulla luminosità centrale nella quale ha collocato lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, e la Vergine Maria. Gli apostoli, invece, tutti in cerchio attorno alla figura della Madonna, sono accomunati dallo stupore con il quale notano le fiammelle collocate sul loro capo, già interpretandole come un segno divino.
L’artista la realizzò tra il 1770 ed il 1771 assieme ad altri dipinti da collocare nella chiesa matrice. Queste tele, tuttavia, restarono solo per pochi anni sugli altari: furono rimosse, infatti, nel 1783 perché i sacerdoti capitolari decisero che quei quadri non ispiravano – come scrissero in una loro deliberazione – “alcuna divozione”.
Entrando nel transetto, la navata trasversale che costituisce il braccio più corto della chiesa, ecco la grande tela - alta più di cinque metri e larga più di tre - che rappresenta in basso a sinistra San Nicola vescovo di Mira e in basso a destra un altro vescovo identificato come sant’Agostino. Tutta la parte superiore della tela è occupata dalla scena raffigurante la visita della Vergine a Sant’Elisabetta; tuttora non si conosce l’autore che, in ogni caso, sarebbe salentino, e la data di realizzazione è il secolo XVII.
Alla metà del Seicento risale il quadro, recentemente restaurato, raffigurante la SS. Trinità, la Santa Vergine, S. Michele arcangelo e le anime del Purgatorio.
E’ un soggetto abbastanza diffuso nelle nostre chiese, dettato soprattutto da motivi catechetici sulla dottrina del Purgatorio ispirata anche dai decreti del Concilio di Trento, da comunicare ai fedeli anche attraverso l’arte. “Caotica e farraginosa” era stata definita la tela, ma il restauro ha dato nuovo credito a questo dipinto, nel quale, osservando la composizione dall’alto verso il basso, ci si rende conto della bravura dell’artista.
Questi, di ambito salentino, ha voluto innanzi tutto comunicare il mistero trinitario e la centralità della figura della Vergine promotrice della salvezza eterna che, a ben vedere, è il soggetto unico del quadro. I protagonisti della salvezza sono accomunati anche da un elemento cromatico, riscontrabile sia nella Madonna sia nell’abito dell’Arcangelo Michele, collocato accanto all’Eterno Padre, quasi a collegamento tra la parte superiore e quella inferiore della composizione, sicuramente quella più accurata dal punto di vista della realizzazione artistica.
Le anime del Purgatorio, che attendono di salire in Paradiso, poste alla base del quadro, rappresentano un piccolo capolavoro nel capolavoro. Qui l’artista ha citato più volte pittori famosissimi, probabilmente si è anche ritratto; soprattutto ha cercato di fare intuire l’atteggiamento delle anime, non disperato, ma di preghiera costante e di malinconia per la lontananza dalla luce di Dio.
Passando sul lato destro della chiesa, nel transetto, la navata trasversale che costituisce il braccio più corto della chiesa ecco la Madonna del Carmine, opera settecentesca, forse il più prezioso dipinto conservato in questo luogo sacro. La tela ritrae la Madonna, assisa sulle nuvole, che tiene stretto il Bambino a lei abbracciato, mentre tutt’intorno compaiono gli angeli che, devotamente, rivolgono lo sguardo verso la Vergine santa ed il Bambino, facilmente riconducibili al titolo del Carmelo proprio per la presenza dell’attributo iconografico dello scapolare, larga striscia di stoffa portata, da questi religiosi, sul saio.
Il dipinto è opera di un maestro dell’arte napoletana, Giuseppe Bonito, nato a Castellammare di Stabia nel 1707 e deceduto a Napoli nel 1789. Furono i sacerdoti capitolari che, nel 1783 decisero di rimuovere una tela raffigurante la Madonna del Carmine di Domenico Pinca e commissionare la realizzazione di una nuova opera “in Napoli o in Roma – scrissero – dalli più eccellenti pittori”. E la scelta cadde su Giuseppe Bonito, che la realizzò, nel 1786, ormai ultrasettantenne.
Accanto alla Vergine del Carmine, ecco l’Adorazione dei pastori di Gian Pietro Zullo, pittore mesagnese vissuto tra il 1557 ed il 1619, caposcuola di una robusta tradizione pittorica locale, alla quale appartiene anche Domenico Pinca. L’opera, che è assegnata per tradizione a Zullo ed al nipote Cunavi che l’avrebbe completata, non ci è stata tramandata nella sua impostazione originaria, perché fu ampliata dal Pinca nel 1782.
Probabilmente nella tela, che è alta sei metri ed ha una base di oltre tre, resta di Zullo il nucleo centrale delle figure, costituito dalla sacra famiglia e dai pastori, ma non è escluso che proprio questi ultimi siano stati completati dal nipote, che vi lasciò tracce evidenti del vivace cromatismo di scuola veneta, tuttavia perfettamente aderente al disegno complessivo, in buona parte realizzato da Zullo prima della sua morte.
Tornando nella navata principale della chiesa, subito dopo l’orchestra sovrastata dall’organo, ecco la tela raffigurante Sant’Oronzo, venerato a Mesagne perché attribuita alla sua intercessione la salvezza dalla peste, che ammorbò il Salento attorno al 1660. In passato il soggetto era stato identificato con Sant’Eleuterio, protettore di Mesagne prima che i cittadini si affidassero alla Vergine del Carmine, ma i riscontri documentali non lasciano adito a dubbi.
Sant’Oronzo è raffigurato dall’anonimo autore, certamente di elevate qualità, con i consueti attributi iconografici propri del vescovo, mitria e pastorale, e con quelli del martire – si noti la palma del martirio posta in terra assieme alla scure sostenuta dai littori.
Nel dipinto che vediamo, l’implorazione di salvezza e la benedizione sono richieste dal Santo per la cittadina di Mesagne ritratta sullo sfondo e sorvegliata da una presenza angelica. Sono facilmente distinguibili la Porta Grande, la cinta muraria che costeggiava la città fino al castello, il torrione del maniero: l’ignoto autore ha voluto realizzare quasi un’istantanea della cittadina nella seconda metà del XVII secolo.
Tra il quadro di Sant’Oronzo ed il vano che ospita il Fonte battesimale, ecco l’ultimo altare che reca come dipinto la crocifissione di San Pietro. Anche quest’opera è stata realizzata dal mesagnese Domenico Pinca, che ha siglato la tela in basso a destra, poco sotto il gradino sul quale poggia la croce dipinta. L’opera fu realizzata nel 1770-1771 per sostituirne una più ampia, ma fu quasi subito rimossa, assieme ad altre, perché non gradita. La pecca dell’autore fu probabilmente quella di aver “attualizzato eccessivamente” la scena, con il centurione in primo piano, troppo spagnoleggiante nella sua armatura per non evocare episodi vicini alla memoria dei fedeli.
Va notato come efficaci siano l’impostazione del soggetto sullo sfondo, che probabilmente rappresenta l’imperatore che assiste al martirio, e dell’angelo che, proprio al centro, reca a San Pietro non soltanto la palma del martirio, ma anche una corona floreale, che conferma il sacrificio di testimonianza e lo indica quale principe degli apostoli.
L’intera struttura è stata di recente restaurata, sotto la giuda degli architetti M. Rosaria Cipparrone e Franco Cutrì. Nel 1991 è stata ristrutturata la facciata principale e nel 1994 l’architetto Cipparrone ha diretto il restauro degli interni.
Chiusa nel 1989 per consentire i lavori, la Chiesa è stata riaperta al pubblico il 23 dicembre1994.
Geschreven op 7 september 2016
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alonsito1
Provincie Napels, Italië28 bijdragen
4,0 van 5 bollen
aug. 2016 • Gezinnen
vado spesso in questa chiesa e esco sempre sereno per la tranquillità che trovo,consiglio a tutti di visitarla
Geschreven op 25 augustus 2016
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giorgioguacci
Taranto, Italië427 bijdragen
5,0 van 5 bollen
jun. 2016 • Gezinnen
Piccola chiesa che porta i retaggi del passaggio nella commenda dei Cavalieri di Malta, singolare la conformazione delle navate. All'esterno i vicoli del centro storico ricchi di locali e angoli di incanto
Geschreven op 28 juni 2016
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